Vilnius Man

mercoledì, giugno 29, 2005

Voices

E’ una baggianata, ma non posso fare a meno della voce che nel filobus annuncia la prossima fermata. Ha un accento tutto suo, leggermente antiquato, e pronuncia il nome di certe stazioni in un modo che dà dipendenza, come per esempio Karaliaus Mindaugo (che pronuncia Karalious Mìndoogo) o ancora meglio Tuskulenų Dvaras, con la prima ‘a’ di dvaras allungata all’inverosimile. Il tutto corredato dalla parola ‘stazione’ che si dice stotelė, ma lei lo pronuncia stoatieli, con tono ascendente da far impazzire il dottor Gonzo nella sua vasca da bagno di Las Vegas.
E poi sono stato nella metrò di Mosca, anch’essa ti ipnotizza parlandoti, ma solo oggi ho trovato un ragazzo che mi scrivesse esattamente quello che dice. La voce femminile russa ti invita con estrema gentilezza e decisione a fare attenzione alle porte e ti annuncia la prossima fermata. Il gioco di lettere morbide e dure, unito al ritmo della frase mi cullava durante il tragitto di vari minuti fra una stazione e l’altra. Suona più o meno così: Astarožnie, dverizekriuvaiuze, sleduščaie stànzie Rižiskie. Dverizekriuvaiuze sono in realtà due parole (le porte si stanno chiudendo) ma suona così, una musica per le mie orecchie.

martedì, giugno 28, 2005

Tourism

Vilnius si sta svuotando e riempiendo. Si svuota di studenti e si riempie di turisti. Cammino per Gedimino prospektas in una giornata di sole e il fiume di facce che mi viene incontro non ha le proporzioni morfologiche tipiche della regione. Quello è Inglese, quello è Tedesco, quello è troppo, troppo Italiano. Quante volte mi sono sentito dire “non sei il tipico Italiano”. Ma com’è che sarebbe questo tipico Italiano? Che fama ha? Chiacchierone fondamentalmente, e pure un po’ pappone. Esibizionista. Il fatto è che la comunità italiana di Vilnius soffre sotto il peso del luogo comune che viene tenuto vivo da una minoranza di sfigati che rimorchiano solo dove possono spendere soldi e dove nessuno può andare a verificare le balle che raccontano. Ne ho incontrati di sedicenti playboy e ancor più sedicenti uomini d’affari di successo. Per Stanislavskij questi sarebbero degli eroi della recitazione: essi riescono a ricreare una realtà in cui credono profondamente tanto da reagire con verità a stimoli immaginari, proprio come una grande attore che conosca i segreti del Metodo.
Sere fa uno di questi soggetti mi si avvicina per raccontarmi tutte le birbate che ha fatto con ma-che-dico-una, ma-che-dico-due, ma-che-dico-tre ragazze a distanza di poche ore durante la stessa giornata. O dell’ora che concede per vedere se qualcosa va in porto, per poi passare subito alla prossima in coda. Mi sta bene, fai quello ce ti pare, va benissimo, tranne per un particolare. Starei chiacchierando con un amico e mi sono fermato per salutarti, non per chiederti “Toglimi una curiosità, ma quanto cazzo sei figo?? Quante ne hai fatte tue, stavolta? Racconta, racconta!”.
Proprio no, proprio on me ne potrebbe fregar di meno, ma cerco di essere educato e ascolto, o forse ascolto per riportare sul blog.
Comunque, se uno viene a raccontarmi cose che non chiedo di sapere palesemente per tirarsela un po’ significa che questo signore ha una sorta di bisogno di dirle. E se ha bisogno di dirle, vuole che la gente lo sappia, e se vuole che la gente lo sappia è perché teme che la gente non sia a conoscenza di quello che gli accade. Il che porta maieuticamente alla triste conclusione che molto probabilmente non succede, o capita di rado.
E’ la regola, chi parla non fa e chi tace lascia comunque il beneficio del dubbio e sta più simpatico.
Due sere fa al pub era particolarmente pieno di papponi dalle camicie bianche e l’abbronzatura comprata ore prima, affogati nel gel e addobbati di marche che osservavano ragazze ridicolmente più giovani come si osserva la merce al supermercato. Che ribrezzo.
Che poi le ragazze vadano lì per quello come gli stranieri, va benissimo. Non voglio limitare la libertà di nessuno, sono tutti liberi di trovarsi un surrogato d’affetto, sono tutti liberi di combattere la frustrazione di non beccare nulla a casa, mi sta davvero benissimo. Non mi sta bene l’atteggiamento. Si legge negli occhi della gente (e qui sto a generalizzare apposta per dare più carattere a questo post) disprezzo. Edonismo, voglia di prendere tutto subito nei pochi giorni che si è qui in vacanza. Spremere il possibile dal luogo di villeggiatura, dove non c’è controllo, non si rischia la reputazione, tutto è alla portata di un portafogli. Il soldo come antidoto ai principi e alla responsabilità, a un vero carattere, al capire che ogni azione ha un impatto sugli altri, su se stessi e sull’ambiente in cui ci si trova. Tutti sono liberi di trattare male chi vogliono e fare uscire la bestia che c’è in sé, ma quello che critico è che questo porterà a rovinare la dolce, quasi ingenua atmosfera di questo posto. Solo perché non importa se butto una carta per terra, ma se tutti buttassero una carta per terra cammineremmo nella pattumiera. Infatti è così. E’ nel piccolo che si raggiunge il grande, più difficilmente al contrario.

domenica, giugno 26, 2005

Alan

TANTI AUGURI ALAN! CI VEDIAMO PRESTO!

Sasha

Stanotte ha piovuto finalmente. Abbiamo avuto giorni di afa e ora il tempo e fresco e vivibile. Proprio mentre pioveva, mentre Claudio (che è venuto a trovarmi) ed io ci preparavamo a tornare a casa dopo una serata molto intensa, conosciamo un Bielorusso in Lituania per giocare a calcio che ci dice “Si, la Bielorussia ti è piaciuta perché eri turista, ma è qui che io sento di essere libero. In Bielorussia hai sempre una sensazione di non poter fare quello che vuoi”. Come facevo a spiegargli che il mio giudizio ultrapositivo su Minsk era per fargli piacere? Lo so che Aleksandr è un figlio di puttana. Proprio recentemente ha vietato ai suoi dipendenti pubblici di stare fuori dal paese per più di due giorni, altrimenti tornano “con strane idee in testa”. Dopo aver chiuso le agenzie di moda e fatto arrestare i titolari questa mi sembra quasi una mossa in ritardo sui tempi per una dittatura. Sasha, sei un figlio di puttana. Vattene, torna a casa, riduci i cappelli degli sbirri, smonta i microfoni nascosti, licenzia gli spioni, libera i detenuti politici, accetta le critiche, semplifica le telefonate internazionali, rendi internet accessibile e libero, togli la censura sulla stampa e lascia liberi i cittadini di decidere cosa vogliono.
No, come un bambino viziato. Che stronzo.

lunedì, giugno 20, 2005

Back

Lunedì.
Il fottuto materassino gonfiabile perde aria e non capisco da dove. E’ come se non reggesse oltre un tot di pressione, così al mattino mi trovo a dormire su una massa quasi informe, ma ancora non del tutto sul pavimento. Se dormo di lato e mi sposto dando un colpo d’anca, però, tocco il suolo. Non ci penso perché mi fa troppo incazzare. Se almeno avesse un buco lo potrei riparare, ma se è la valvola cosa posso fare?
Il week-end a Nida è stato rilassante, anche se avevo voglia di pramogų savaitė non mi sono annoiato ma ho visto l’ambita penisola con le sue dune di sabbia in mezzo al mare. E il set –immagino- del film con Jeremy Irons! C’era un abbozzo di villaggio con una casa bruciata che ormai stavano già smontando.
Ho dormito nell’hotel più economico di sempre, una specie di gruppo di bungalow meta dei lavoratori al tempo dei sovietici. 20 Litas per due notti, lercio (ma sempre senza scarafaggi). I bagni (comuni) sono qualcosa da descrivere. Quando ci sono entrato la prima immagine che mi è venuta in mente è il peggior WC della Scozia del film Trainspotting, solo che in questo caso erano alla turca. Incrostati dai tempi di Breshnev di macchie che speri che sia ruggine antica e non altro, avevano un odore talmente forte da far scappare anche i sassi. Le mosche, infatti, svolazzavano beate nella doccia, non lì. Con la doccia di domenica ho raggiunto una settimana di docce fredde (ovviamente calda non c’era, né lì né a casa mia quando son tornato da Mosca). Addirittura l’acqua del rubinetto freddo era più calda di quella che usciva fredda dal rubinetto di quella calda (okay?) e ferrosa da farti cigolare dopo esserti asciugato. Gialla da far spavento, non so perché non bolliva quando abbiam fatto una pasta, tanto che Mantas ha avanzato l’ipotesi che fosse olio…
Nonostante il vento è stato splendido sdraiarsi sulla sabbia a prendere il sole, poi prendere una barchetta e fare un giro della costa bevendo birra e mangiando pesce affumicato. Accusavo ancora la stanchezza russa, che sta passando.
Oggi la prima giornata di tirocinio è iniziata con pace giamaicano come sempre. Mi sono annoiato ma penso che può migliorare e potrebbe rivelarsi interessante. L’approccio dell’azienda è molto aperto verso i designer e comunque verso nuove idee. Come ho sentito spesso dalle esperienze degli amici, in Italia il giovane tirocinante viene preso per un fattorino o per uno zimbello da sfruttare. Qui, come in buona parte dell’Europa del nord, sono le idee che contano, non l’età. Oggi l’appuntamento è stato alle 11:00, domani danno una parvenza di nazismo e ci si vede alle 10:00.
L’ultima volta che mi sono alzato presto è stata per andare al mare.

giovedì, giugno 16, 2005

Internship

La lezione non era una lezione ed è durata venti minuti, ma ho saputo che quest’ultimo corso sarà effettivamente un tirocinio di un mese presso un’azienda lituana di arredamento, proprio come speravo succedesse. Si trova a Vilnius nella zona di Žirmunai, a nord, e a quanto sembra ci occuperemo di quello che Mantas, non trovando la parola in inglese, ha definito “quello che tu in bagno non hai”. Lavandini.
Domani mattina vado con lui e la sua ragazza Justė a Nida, sulla penisola curlandese. Voglia di spiaggia. Lunedì sono in azienda. Kietas!

Days

Non che succeda molto. Sto vivendo con discrezione dopo la spesa del viaggio in Russia, cercando le Kavinė (caffetterie) dal prezzo più basso. Ieri ho preso una Šaltibarščai (una zuppa fredda alla barbabietola) e un karšta duona su sorių (pane fritto con aglio, maionese e formaggio fuso) annaffiati di birra e ho speso poco meno di 6 Litas, Quasi 2 euro.
Il pane fritto è un cosiddetto “beer snack”, ed è qualcosa che in Italia non abbiamo. Penso che sia legato al costo della vita. In Italia capita che prendi una birra, la paghi come se fosse champagne ed esigi che un minimo ti rallegri. Quindi non ci mangi sopra.
Qui una media in centro la paghi 1,40 euro, vicino alla stazione 70 centesimi, quindi anche come Lituano te ne permetti più di una e già che ci sei le fai assimilare un po’ più lentamente godendoci sopra, e ordini il pane fritto.
In Italia, o perlomeno a Milano, le birre scattano a fiumi durante l’happy hour, ovvero quando il prezzo cala (di mezzo euro) e il cibo è gratis.
Ieri sono andato al cinema a vedere una boiata di nome “Mr. & Mrs. Smith”, mi ero già immaginato come potesse essere la trama e ci ho azzeccato. Banale, stessi codici, stesse idee già viste. Bravi i due attori, ma neanche eccellenti.
Oggi pomeriggio andrò a lezione a cominciare l’ultimo corso del mio erasmus. Ieri sera ho ricevuto una mail dall’Ufficio Relazioni Internazionali che dice che hanno fissato la data della giornata in cui parificano gli esami dati all’estero, di consegnare tutto il materiale il 13 luglio e di presentarsi il 20. Ho risposto che il 15 finisco gli esami e prima del 20 non posso essere qui.
Ho ragione? Voglio dire, anche il Politecnico finisce a fine luglio, com’è che per gli erasmus la storia è diversa? E senza chiedere? Spero che ci sarà una seconda data a settembre, altrimenti devo infilarmi in una seconda dirbų savaitė con consegna anticipata e pulizia casa e organizzazione partenza in tempo record e non ne ho proprio voglia. Comunque avrei voluto saperlo prima.
Sto pensando a come sarà rivedersi tutti. Adesso che c’è calma la mia mente viaggia fra i ricordi di una città dai sapori conosciuti e indimenticabili. Milano, che vivo col fastidio ma che alla fine accetto senza prenderla troppo sul serio, con la sua circense superficialità e con le profonde amicizie che mi ha fatto consolidare, gli amori che vanno e vengono, che ritornano, le persone che ignoro, i cocktail carissimi, la gente ‘che conta’ che fuma fuori dai locali e io che mi sento un VIP a entrare…
Non mi mancano queste cose in quanto tali, mi manca sentirle vicine e relazionarmi con esse. Mi sento libero, senza legami, ma esse sono la mia vita. Qualcuno una volta ha detto che amare veramente non è tenere stretto, ma lasciare andare. E’ anche che ho imparato a vivere da solo in un mondo (e modo) nuovo e voglio sempre più vederne altri, ma prima devo fare il pieno. A casa. Quella vera.

lunedì, giugno 13, 2005

Pics

Purtroppo a causa di un problema con il server delle foto non si possono vedere immagini. Se riesco risolvo il problema il più presto possibile. Che fastidio.

Россия

Ho fatto le valigie il giorno stesso, decidendo di portare il minimo indispensabile che con la giacca –però- riempie lo zainone. Una settimana di Russia va vissuta fino in fondo, vedendo tutto e risparmiando semmai sulla qualità del cibo, dell’alloggio e in casi di necessità, sull’igiene personale. Prendiamo il treno notturno del 4 giugno che parte da Vilnius alle sei meno venti e arriva al mattino al mio Sogno numero 2, San Pietroburgo (l’1 è sempre stata Mosca).
Posiamo gli zaini al deposito in stazione appena arrivati e ha inizio una prima avanscoperta della città. La prima impressione è di bellezza, ma al primo momento questa viene messa da parte per un primo giramento di scatole dovuto alla nostra scarsa organizzazione. Colpa nostra, ma abbiamo solo una guida cecoslovacca del 1987, il che ci porta a pascolare a caso in una città senza ancora riferimenti.
Per fortuna il viaggio a Minsk mi ha portato a leggere il cirillico senza troppi problemi e con mio stupore divento il lettore ufficiale dei cartelli (in Russia tutti hanno una e solo una funzione). Unito al ceco di un nostro compagno di viaggio, lingua per certi versi simile al russo, l’orientamento appare all’orizzonte. E’ un punto di informazioni turistiche, dove acquisto una guida della città.
Camminiamo, vedo molta sporcizia e sciatteria e molti poveri, la città è splendente, ma sprofonda sotto al peso del suo contesto sociale. Petra e io ridiamo alla costante propaganda sulla vittoria del 1945, alle foto degli eroi dell’Unione Sovietica e alle falci e martelli che ‘adornano’ buona parte dei palazzi. Anche qui non può mancare una tavola commemorativa dedicata al ferreo Felix (Džerdžinsky).
Continuo a chiedermi dove sia la linea che separa l’accettazione dalla critica della propria storia. Per ora sembra che sia solo cambiato il sistema economico e non lo stato mentale; ci sono soldati orgogliosi della loro divisa ovunque e gente di un’arroganza astronomica.
L’attaccamento alle divise è interessante e ovvio se ci penso: è dal 1917 che le teste vengono lavate verso questa direzione, così non ci si dovrebbe stupire troppo vedendo un poliziotto in divisa che fa la spesa o un soldato in tenuta da addestramento (non da uscita!) che prende il treno.
Però ti turba.
Anche l’antipatia di fondo della persone è a mio avviso niente più che una facile vendetta verso le usurpazioni delle autorità durante il regime. Rispondere bene non costa niente, ma rispondere con aggressività non può venir punito! Mi turbava all’inizio, ora ci ho preso confidenza e riesco a rispondere a tono quando serve.
Oltre al visto, quando si arriva in Russia si hanno tre giorni per farsi registrare dalle autorità come turista presente nel paese. Di norma questo timbro (altro non è), viene fatto gratis, ma non ci abbiamo messo troppo a capire che intorno a questa necessità si è formato un business. Il gruppo decide di andare all’hotel dove dovrebbero registrarci gratis, io non ci sto perché non ci credo e voglio visitare la città. Mi stacco dal gruppo accompagnato da un piccolo nucleo di persone per girare la città e buttare un occhio nelle magnifiche chiese ortodosse della città. A causa dei bolscevichi, molte non sono altro che musei, mentre una stragrande maggioranza –secondo una guida russa- “sono saltate in aria tra il 1930 e il 1950”. Chi sia stato e perché non viene detto.
Ci riuniamo agli altri dopo varie ore. Hanno le pive nel sacco, all’hotel gli hanno sparato un prezzo di 450 rubli (13 euro), così ritengono di andare in un ufficio pubblico, dove dovrebbe essere gratis. Là ci rifiutano di farlo solo per partito preso e ci mandano in un altro posto. Una guardia arrogantissima (alza le spalle, gira gli occhi, sorride con evidenti segni di giudizio verso di noi) all’ingresso parla solo russo e tedesco, così vengo buttato nella vasca. Lezione russa con la burocrazia: Mantenere la calma, insistere, attendere, cercare di commuoverli con gentilezza. Tutti cedono prima o poi, perché sotto sotto i Russi sono ospitali. L’arrogante dopo un po’ si scioglie ma evidentemente il business della registrazione è una specie di legge ufficiosa. Ci manda in un ufficio dove una burocrate appena ci vede chiude lo sportello, il guardiano dice che chiude alle 17:00 (sono le 17:08). La tipa esce e io chiedo di aiutarmi. Il guardiano a questo punto è proprio gentile e ci fa da traduttore, ma la burocrate in divisa tergiversa e ci dà un altro indirizzo dove dovrebbe essere gratis. Il tedesco dice che in alternativa possiamo andare in qualsiasi hotel della città e mi stringe la mano sorridente augurandomi buona fortuna. Passiamo da due hotel che rifiutano di timbrare e l’altro ufficio è chiuso. Due dei nostri tornano al primo hotel ma ormai l’addetta al timbro non ha tempo. Mi passa per la testa un “vaffanculo Russia”, poi sorrido e penso che fa parte del casino di questo paese. Ce ne occuperemo a Mosca, adesso basta perdere tempo per risparmiare 13 euro.
Lezione numero 2: registrarsi subito. Non avere i documenti in regola in Russia non vale la pena e può portare anche all’arresto.
Per la notte siamo divisi in gruppi. Ci appoggiamo all’hospitality club, che è un portale online che mette in contatto chi vuole ospitalità e chi ne vuole offrire in tutto il mondo. Petra, Maria Laura e io capitiamo da Vladimir, che abita in 10-я Sovyetskaya (via del Soviet, che c‘è di meglio?). Una targa sulla facciata ci informa che Lenin ha dormito nello stesso palazzo per qualche giorno. Vladi dev‘essere ancora piuttosto convinto, lavora come giornalista per un quotidiano sovietico ed è one-man-band come artista di strada in giro per il mondo. Un personaggio. Ha detto che dopo la morte di Stalin l‘architettura è passata dall‘ornamento molto pesante a uno stile "più pratico", intendendo gli orribili palazzoni color cemento che deturpano tutte le città dell’est europeo. La casa è magnifica, rimasta a 30 anni fa, con una medaglietta di Lenin in bagno e strumenti musicali ovunque. Un grande, l’ultima sera facciamo fuori tre bottiglie di vino e quasi un chilo di pasta fatta da noi. E ridere, ridere, ridere. Indimenticabile.
Si parte per Mosca, devo dire che per ora San Pietroburgo mi è piaciuta, ma Stoccolma resta la mia città numero uno per bellezza e configurazione. Mi riesce difficile ammetterlo visto quanto tenevo a vedere la “Città-eroe Leningrado” (è scritto su un palazzo in piazza Mayakovskaya).
Ci viene a prendere a Mosca alle 9:30 in stazione uno di quelli che ci ospitano, Sergeij. L’incontro è in stazione sotto la statua di Lenin (ormai non mi stupisce nemmeno più). Ci propone di andare a portare i bagagli a casa di Lena, altra ragazza che offre spazio, e nella sobbalzante Metropolitana nel nome di Lenin (oggi rinominata Metrò di Mosca) comincio a pensare che stiamo per perdere tempo per risparmiare due soldi di deposito.
Infatti.
La casa della ragazza è a quasi un’ora di metrò e piedi dal centro, in un eccellente appartamento in un laido quartiere di palazzoni della zona sud-est della capitale. Lena è scartata. Sergeij è quasi scartato quando gli scappa di dire che non ha il frigo né l’acqua calda per le prossime tre settimane. C’è un altro Sergeij, che però sta lavorando, che potrebbe essere la nostra opportunità.
Torniamo nel centro della città, in metrò abbiamo un veloce incontro con l’altro Sergeij, è in abito e dalla faccia mi ispira simpatia. Si presenta e poi torna al suo lavoro.
Camminando per una via del centro a un certo punto mi volto a sinistra e vedo qualcosa di colorato. E’ la Porta della Resurrezione, in mattoni rossi, e attraverso essa si vede, sul lato opposto della piazza, la famosa Cattedrale di San Basilio. Mi si ferma il fiato e un’eccitazione fortissima mi sale dai piedi alla testa. Sento un misterioso legame verso questa città e sono quasi spaventato ad attraversare la Porta. Siamo tutti esitanti, ma la attraversiamo.
Più mi avvicino alla Porta, più sulla destra si rivelano la Torre del Salvatore, il Mausoleo di Lenin e la Torre del Senato. Il Cremlino. La Piazza Rossa. Si apre sconfinato il panorama urbano visto e rivisto in libri, cartoline e in TV, ma mai vissuto così. Monumentalità, grandiosità, storia, potenza, grandezza, tutto è concentrato in questo luogo che sembra più piccolo visto attraverso un medium. Rischio di stramazzare al suolo colto da Sindrome di Stendhal, penso, e non riesco a trattenere un sorriso ebete a 33 denti.
Sono nella fucina dove per secoli è stata forgiata la storia del mondo e ancora oggi se ne sente l’influsso palpabile. Voglio rimanere qui. E’ troppo bello. Già meglio di Pietroburgo.
Sergeij carica la sua pipa e andiamo a mangiare qualcosa accanto al Mac dietro la Piazza e cominciamo a girare dopo aver lasciato i passaporti in un luogo dove fanno la registrazione per 450 rubli. Ora iniziano a girarmi le scatole. Camminiamo piano, ogni minuto c’è da fermarsi per aspettare qualcuno, Sergeij-pipa sembra non conoscere la sua città e ci sta facendo girare in tondo da due ore e non ci dà alcuna indicazione su cosa sia cosa. E’ che da quanto ho capito vogliamo ammazzare il tempo per tornare alle 18:00 a prendere i passaporti (io li prenderei anche domani, tanto abbiamo un certificato di quell’ufficio! Alle 18:00 i passaporti –infatti- non ci sono e ci dicono di tornare domani.) Questo non è visitare la città e decido di fare qualcosa. Propongo di andare a cercare una libreria e di prendere una vera guida turistica per essere liberi di dividerci, altrimenti in 12 quali siamo non combiniamo niente. Sergeij ci porta a una libreria, dove trovo quel che cerco, ma non mi sembra carino salutare e andare per conto nostro subito. Propone di visitare la vecchia via Arbat, ci andiamo anche se è molto turistica, nel frattempo consulto cosa c’è da vedere.
Sergeij-pipa è definitivamente scartato.
Di sera andiamo a prendere i bagagli e riusciamo ad andare dall’altro Sergeij. E’ un project-manager di una società di consulenza ed è anche un biologo appassionato di ragni. Viene da Tomsk, in Siberia, e vive a Mosca da qualche anno. E’ il migliore, Sergeij-the-best.
Il giorno dopo ci alziamo alle 07:00 per iniziare il giro. La giornata è produttiva come tutte quelle che verranno fino al giorno della nostra partenza, riusciremo a vedere quasi tutto quello che mi interessava quanto il mio grande rimorso sia non essere riuscito a entrare nel Mausoleo di Lenin e nella casa di Stanislavskij, il fondatore del Metodo di recitazione.
A mezzanotte del 10 giugno mi trovo nella splendida metropolitana moscovita quando i miei compagni di viaggio intonano un “Happy Birthday” nel vagone fra Russi impassibili. Sono nel mezzo del Sogno numero 1 ed è pure il mio compleanno.
L’11 lo passiamo al Museo Pushkin e al Museo accanto, quello delle Collezioni Private per concludere con una giornata al VDNKh, il parco delle esposizioni voluto da Stalin e costruito interamente nell’omonimo stile. Surreale, talmente folle e megalomane da diventare fashion. In quella chiama un amico di Petra dall’Italia, soprannominato Congiuntivo per un ovvio problema coi verbi, e dice che non ha capito il messaggio con cui gli avrebbe risposto e cerca di ricordare che lei avrebbe (avrebbe, perché è un’ipotesi sua) scritto qualcosa sul trovarsi “nel cram… crem… nel cremino!
Il Cremino, meraviglia della pasticceria per le sue guglie di cioccolato dalle indiscutibili fattezze artistiche.
A volte sono felice di essere umano, non ti annoi mai.
Ma la vera Russia arriva di sera, quando incontriamo tutti per bere qualcosa in un bar, compresi Lena, Sergeij-pipa e Sergeij-the-best.
Non mi aspettavo un altro “Happy Birthday” ma arriva corredato da un poster del Museo Mayakovskij e un videogame violento da parte di Sergeij-the-best, che ha confermato di essere the best.
A noi, suoi ospiti, però, non va di passare la serata in un locale e così torniamo a casa a mangiare ravioli russi con maionese e bere vodka Putinka (di Putin) e un’altra grappa russa, assieme anche al coinquilino di Sergeij, Mikhail (non the best ma very good), anche lui dalla Siberia.
Sergeij prende un bicchierino, lo riempie e lo butta giù senza succo e intona un “hmm… softly”.
Dopo un po’ di baldoria Mikhail sparisce, poi torna un po’ brillo e con nonchalance indica le mie due compagne di viaggio e dice: “You… and you. Come, you sleep in my room”.
Intendeva che avrebbe offerto la sua stanza, nulla più. E’ l’ospitalità russa che stavolta però non ha avuto la meglio, ma che ridere, quando mai mi ricapiterà di bere vodka con due russi siberiani a Mosca?
Una delle serate più belle della mia vita, che ha concluso la settimana al meglio. Il ritorno in bus è stato un po’ scomodo, ma per il resto la vacanza è trascorsa in un solo modo:
Hmm, softly.

mercoledì, giugno 01, 2005

Riga

Nove ore prima della partenza ero ancora certo di andarci da solo. Nessuno voleva venire. Durante la cena, però, un ragazzo portoghese ospite di un mio amico ha espresso la volontà di vedere un po’ di più della sola Vilnius. L’ho invitato a venire con me, nel caso decidesse di venire gli ho chiesto di darmi un colpo di telefono verso le sette del mattino. Per fortuna mi chiama alle 06:40, non ho sentito la sveglia e rischio di perdere il bus, che parte alle 07:30. Mi scaravento nella vasca, butto due cose nello zaino e corro a prendere il filobus diretto alla Autobusų Stotelė. Giusto il tempo di comprare una bottiglia d’acqua per il viaggio, incontrare il mio compare e possiamo partire. Alle 09:30 il bus fa tappa a Panevežys, ne approfittiamo per comprare dei panini, in coda dopo un personaggio dalla faccia stanca e abbronzata che a quest’ora trova giusto comprare due birre fredde in uno squallido baretto gestito da una scocciatissima signora di trent’anni.
Arriviamo a Riga e come sempre la prima domanda che mi pongo è “ma dove cazzo siamo”. Non esistono ancora riferimenti, la città mi è nuova, non so come è orientata la stazione del bus, non vedo cartelli che rechino il nome della via, così deduco. La mia acuta deduzione mi porta dalla parte opposta di dove vorrei andare, così do la colpa a una città che si diverte a girare su se stessa mentre il turista cammina. Alla fine trovo l’hotel. E’ sovietico, squallido e brutto, ma non troppo sporco. Il bello dei paesi freddi è che per quanto gli hotel siano lerci, è difficile trovare scarafaggi. Facciamo il check-in, il prezzo è talmente basso che il mio compagno chiede se non sia per caso un prezzo per persona. “No”. Comunque, in camera non c’è il bagno, ma c’è la TV… questione di priorità. La camera trasuda puzza di sigaretta dalla sua parete color cacchina chiara. Posiamo i bagagli, metto il giaccone NATO antiasteroidi che fuori pioviggina e ha inizio il giro stakanovista per le vie di Riga. La città è stupenda, la Vecriga, la città vecchia, è piena di stradine strette e romantiche che si insidiano tra i palazzi del diciassettesimo secolo e i magazzini medievali. Un gioiello. Un po’ per culo, un per voglia di far fruttare i due giorni, riusciamo a vedere tutta la Riga essenziale.
Il mio compagno portoghese, nonostante lo conosca da neanche 30 ore, è un buon compagno di viaggio nonostante la sua fastidiosa abitudine di camminare dietro di me invece che di fianco, e di cambiare lato troppo spesso. Accettabile, ma strano. Meglio, sono l’animale dominante e decido io che si fa.
Casette vecchie a parte, due cose mi colpiscono: la via di case in Jugendstil (Riga era abitata da 30000 tedeschi fino alla chiamata in Patria di Hitler) progettate dall’architetto Ejsenstein, padre di Ejsenstein regista della “Corazzata Potiomkin” (la cagata pazzesca). Ho sempre apprezzato –nonostante l’insensatezza- gli ornamenti di questo genere e la via in questione mi ha affascinato (Alberta iela); e il Museo dell’Occupazione, impressionante testimonianza della riluttante annessione all’URSS della piccola Lettonia.
Non ho mancato di godere di alcuni retorici esempi di architettura stalinista che sempre mi attrae.
In alcuni momenti Riga mi è sembrata una via di mezzo fra Vilnius e Minsk. I Russi sono l’etnia in maggior numero in questo paese, così non ufficialmente la seconda lingua (dopo il lettone) è il russo e molto spesso insegne e scritte sono leggibili anche in cirillico (che ormai domino!). Il lettone sembra un dialetto stretto del lituano, molte parole sono però differenti e nonostante le mie discrete conoscenze di lituano basic non sono riuscito a farmi capire se non nel diffusissimo inglese (parlavo a gesti e lituano inventato, quando la commessa mi risponde in inglese con accento di east end).
Per concludere, una città che merita. Più grande di Vilnius, forse troppo dispersiva per farci un erasmus (raggiungere ogni punto in 10 minuti è troppo figo qui) ma è anche dotata di una città vecchia molto più bella e romantica.
Sabato parto per San Pietroburgo e poi Mosca. Per Tallinn forse dovrò aspettare metà giugno.


Stakanovismo e turismo accomunati da una giacca tuttofare


Viuzze e scorci. Gli scorstamenti aumentano la reazione poetica della città


Jugendstil in Alberta iela


Uno sfigatissimo palazzo in stile stalinista